
Affrontare le sfide con il coach, CLASS – febbraio 2007
CLASS – febbraio 2007
Affrontare le sfide con il coach
C’è stato un momento, qualche anno fa, in cui grandi manager e professionisti di successo sembravano non saper muovere un passo senza il proprio guru di riferimento.
Il lavoro di questo esperto si riassumeva spesso in terapie-urto, del tutto rivoluzionarie per l’epoca, ma un pò bizzarre: camminare sui carboni ardenti, attraversamenti di ponti tibetani sospesi nel vuoto e così via.
Tutto, pur di riaccendere nei business-man la fiamma, a volte sopita, a volte spenta del tutto, della motivazione. Oggi le tecniche da Rambo in grisaglia sono passate di moda.
E negli stessi soggetti che all’epoca non sapevano farne a meno, suscitano un misto tra sufficienza e tenerezza. Eppure i professionisti della motivazione esistono ancora.
Ma sono cambiati: hanno volti giovani, esperienza maturata all’estero, metodi nuovissimi e per niente bizzarri. Marco Valerio Ricci, 34 anni, di Aosta. Professione: coach.
Un allenatore? Non proprio: “Il termine coach, in inglese, significa anche pullman”, spiega Ricci. “Sono uno strumento per raggiungere una meta. Il mio compito è colmare il divario che c’è tra il soggetto e l’obiettivo che si è prefisso e a cui non riesce ad arrivare”.
Il coaching è una metodologia di miglioramento delle potenzialità individuali. Nata negli Usa, da noi è arrivata da poco.
A chi può essere utile? C’è l’imbarazzo della scelta: professionisti, imprenditori, dirigenti d’azienda pubblici o privati; ma anche politici, venditori, impiegati, sportivi professionisti.
In generale, tutti coloro che vogliono ottenere di più da se stessi nella vita quotidiana.
I clienti dell’Accademia dei Coach, fondata da Ricci, ne sono la prova: dalla multinazionale della tecnologia Cisco Systems alla compagnia telefonica Tele2, dalle Assicurazioni Generali e Ina-Assitalia a soggetti istituzionali come la regione Valle d’Aosta o la Camera di Commercio di Roma. Senza contare diversi atleti professionisti di tennis, calcio e sci.
I corsi di Ricci e del suo staff, individuali o di gruppo, standard o intensivi, durano dai tre ai sei mesi e si fondano sulla programmazione neurolinguistica, che consiste nel programmare la mente attraverso il linguaggio.
Il presupposto di partenza è che le associazioni mentali legate a uno stimolo variano di persona in persona.
“Un manager si rende conto di essere troppo burbero o di respingere in malo modo ogni progetto per la minima imprecisione”, esemplifica Ricci. “Tocca a me individuare la causa all’origine di questo atteggiamento, cioè l’evento che ha fatto scattare per la prima volta questa reazione negativa che, nel tempo, è diventata una regola.
Sarebbe sbagliato, però, pensare al coach come a uno psicanalista: “Nei confronti di un medico ci si pone spesso in una condizione di inferiorità, timore reverenziale, chiusura”, continua Ricci. “Al contrario, il coach deve fare in modo che il soggetto non si senta mai forzato a fare qualcosa.
Anzi, il cliente deve avere la sensazione che io non abbia fatto nulla. Per esempio: se una manager avvenente è convinta di non essere presa sul serio dai suoi collaboratori, che pensano solo a farle la corte, comincio a farle la corte anch’io. In questo modo l’aiuto a scoprire i lati del suo carattere che inducono gli altri a comportarsi così”.
Ricci ha una formazione classica e si vede: “Gli americani hanno un approccio più arido, diretto solo al risultato. Il mio metodo è più dolce, perché attinge alla cultura. Applico le massime dei grandi pensatori a situazioni concrete. Si può e si deve imparare da tutti, Seneca e Socrate, Confucio e Dante”.
Senza dimenticare di sorridere: “Sono convinto che si possa imparare davvero solo se ci si diverte”, continua Ricci.
“Le persone si prendono troppo sul serio e questo impedisce loro di raggiungere gli obiettivi. Ma portando questa serietà all’estremo, diventa ridicola. Se riesco a farli ridere sui loro modi di ragionare e comportarsi nella vita di tutti i giorni, è fatta: si sbloccano.
Einstein diceva che non si deve mai affrontare un problema dalla stessa prospettiva dalla quale è stato posto. Tradotto: il problema che mi poni è davvero così grave come mi stavi dicendo?Bene, ridici sopra, guardalo da una prospettiva ridicola, perderà tutta la sua apparente insormontabilità.”.
E i carboni ardenti, i ponti tibetani? Ricci sorride: “Non li escludo a priori. In certe situazioni sono anche utili. Ma se posso, li evito: perché si riducono sempre a una esperienza circoscritta, buona soltanto per vantarsi con gli amici. E molto meglio imparare a rispondere alle mie domande dirette, il modo più efficace per tirare fuori e cancellare le proprie paure”.